Maurizio Marinelli
VDR 1-14

Musica per tela e colore
di Beatrice Menozzi

(English)

Parlando della pittura di Maurizio Marinelli, è doverosa una premessa: ogni traduzione è, per natura, tradimento. Tanto più quando a dover essere metabolizzate dalla lingua non sono parole, bensì segni, segni miracolosamente scampati al naufragio della realtà. Eppure realtà non sono: non nuotano nell’alveo sicuro di un tracciato strutturato a priori, né fanno rotta verso figurazioni remote, ma vere. Sono invece note musicali liberate nell’aria, vibranti e vaporose che all’improvviso, condensate in pioggia cromatica per un qualche misterioso fenomeno atmosferico, ricadono sulla tela, picchiettandola, talora sferzandola e, malgrado tutto, raggrumandosi in esistenze che non sono reali, ma pure sono: nel turgore dei rossi, nella buia vertigine del nero, nelle scintille di giallo, nel blu, con i suoi spruzzi di mare.
Aimè, è facile per chi scrive cedere alla tentazione narrativa, esplicativa, alla tentazione di tradurre, cioè di tradire. Omero, quando parlava della parola, la definiva “alata”: il suo miracolo letterario è stato tramandato e tradotto dalla bocca di mille cantori, che l’accompagnavano con la musica e con l’improvvisazione, prima di essere incatenato alla prigionia della parola scritta. “Parole alate”, mescolate di musica ed improvvisazione, occorrerebbero anche per raccontare l’avventura pittorica di Maurizio Marinelli.
Nauseato dalle immagini prostituite alla pubblicità, dalle parole che sudano parole, non vita, un giorno, riscoprendo da un cassetto chiuso una partitura incompiuta di colori, ha deciso di azzerare quel bagaglio opprimente, ingombrante. Proprio lui, che della comunicazione ha fatto una professione di vita: laureato al DAMS, è a capo di un laboratorio di ricerca che offre servizi informativi, nell’area delle tecnologie della comunicazione, ad un importante gruppo industriale di Bologna. E’ presidente di Baskerville, centro studi sulla comunicazione e casa editrice. Tiene lezioni di Comunicazione presso diverse università italiane.
Eppure, guardando le sue tele, sembra di sentirlo ammonire, con un filosofo, che “di ciò di cui non si può parlare è bene tacere”.
Nemmeno i titoli offrono un’ancora allo sguardo, nel loro criptico ermetismo: sono una scoraggiante successione di numeri e sigle. Agnosticismo? Nichilismo? Non è così: come il suono ha preceduto la parola articolata, così, nella storia dell’arte, l’astrazione ha preceduto la figurazione. Ed è a questo assunto che Marinelli si appoggia nel suo progetto creativo, che non rifiuta la comunicazione, ma decide di vincolarla agli strumenti delle origini: suono ed astrazione.
Le “origini” a cui attinge non sono, per la verità, disperse nella notte dei tempi ed hanno un nome definito: jazz ed action painting. Dopo vent’anni di abbandono dei pennelli, ma di riflessione sulla pittura, Marinelli è ripartito con la consapevolezza di dover sfrondare il superfluo, di dover ripulire il dettato pittorico da ciò che, per lungo tempo, ha contaminato la purezza della sua vena espressiva: questo elemento inquinante, spurio, l’artista lo ha individuato nell’influenza della Pop Art. Pop Art fa rima con Musica Pop.
Come Astrazione o, nella fattispecie, Pittura Gestuale, fa rima con Jazz .
Da questo abbraccio di musica e pennello, che sedusse anni prima anche il suo maestro ideale, Jackson Pollock, sono nate “Improvvisazioni” cromatiche che, giocate sulla sovrapposizione gocciolata di colori primari, sciolgono nella densità delle paste l’eco volatile di una folata di Jazz, divenuta materia grumosa da toccare, fioritura di colore da attingere con lo sguardo. E’ l’unica concessione che l’artista fa al racconto; da una parte lo spartito musicale, dall’altra la tastiera cromatica, pronta a suonarlo, per raccontare, e improvvisare, la genesi di un’emozione. Come VDR6 : una nera canna fumaria investita da lapilli di lava blu. E VDR11: un big bang di sangue, schizzato su una grinzosa muraglia bianca.
Ma è proprio questo? Oppure, dietro il vagabondare dello sguardo, a caccia di qualche relitto di realtà, Marinelli ci vuole invece ingannare, fingendo di trasgredire? Se la sua fosse originalità forzata, non sense fine a sé stesso, come tanto e fuorviante se ne incontra oggi, gli faremmo il verso con una battuta di Stan Hunt:”Perché fai l’anticonformista come tutti gli altri?” Invece, la proposta pittorica di questo artista, che è il primo passo di una riscoperta destinata ad allungarsi in un cammino articolato, ancora da scrivere, ha lo spirito dell’amato jazz. Nato tra le popolazioni di colore di New Orleans e della Louisiana, il jazz ha rappresentato un genere di intrattenimento e d’evasione, per poi divenire musica d’élite, informata dai preziosismi della musica contemporanea. Il suo ordito è intessuto nel caso. Ma è un caso d’autore, ricercato in una tensione costante fatta di studio, di riflessione.
Bisogna possedere regole per permettersi di essere sregolati.
Proprio come Maurizio Marinelli.

(dal catalogo della Galleria 8,75 )


<VDR - Entrata >